venerdì 27 maggio 2011

Aspettando la quiete

'Tutto si risolverà' disse sollevandole il volto con la mano. La vedeva e solo ora notava le sue lacrime rigarle le guance.
'Tutto si risolverà, devi solo avere fiducia in te stessa, nella tua buona fede, e perchè no, anche negli altri'.
'Non mi perdoneranno mai', sussurrò lei con un filo di voce. 
Lui le aprì un sorriso tanto solare da essere contagioso, 'Oh si che lo faranno, te lo garantisco'.
Le vide accennare un piccolo sorriso di speranza.

E anch io penso che, dopo tutto questo caos, dovrà tornare la calma del sereno.


sabato 21 maggio 2011

Divisa gialla

Cara/o Collaboratrice/Collaboratore,

innanzitutto qualche premessa, mi permetterò subito di darti del tu, e di chiamarti col nome più comune col quale siete conosciuti, ma non per questo il mio intento sarà offensivo, tutt' altro.
Capisco che non sia comune ricevere una lettera sul posto di lavoro, eppure io ho sentito la necessità di farlo, perchè non conosco altri modi per venire in contatto con te, sebbene ti veda tutti i giorni.
Anch'io frequento quotidianamente questa facoltà, ma non faccio parte, e mi sento orgogliosa di dirlo, di quello stereotipo di studente/figlio che qui è ben noto ed evidente.
Forse per questo ho sentito il bisogno di ringraziarti.
Si, proprio così, voglio ringraziarti. Ringraziarti perchè ogni volta che vado in bagno lo trovo pulito, trovo la carta igienica al suo posto, il sapone e l asciugamano.
'E' il loro lavoro' potrebbe subito controbattere qualcuno; 'è il nostro lavoro', potresti precisare tu. Ebbene è vero. Ma non tutti fanno bene il loro lavoro. Sicuramente anche tra voi c'è il/la più attento/a, il/la più preciso/a, e quello/a più lavativo/a.
Nonostante tutto, funzionate come squadra. E io so che quel bagno è stato pulito, perchè l'ho visto.
E chi si lamenta della poca pulizia dovrebbe fare attenzione a chi è entrato nel bagno prima di lui/lei. Infatti per alcuni solo il bagno di casa loro sembra dover essere rispettato, mentre i luoghi pubblici, le altre persone, e il lavoro altrui, beh, tutto questo passa in secondo piano, entrando dalla porta della maleducazione.
Non siete invisibili ai miei occhi (e come potreste con quelle maglie gialle?), e nemmeno agli occhi di chi, come me, ha rispetto per ogni tipo di lavoro e persona.
E quindi oggi voglio ringraziarti. E' vero, è il tuo lavoro, ma allora lasciami dire che lo fai bene, e ti rispetto molto per questo.
Grazie

 


 

Lo studio

Lo studio universitario aspira a elevare il tono intellettuale della società, a vedere le cose come sono, ad andare diritto alla sostanza, a sbrogliare una matassa di pensieri, a scoprire ciò che è sofistico e a scartare ciò che è irrilevante. Essa lo prepara ad occupare ogni posizione con dignità e a dominare qualunque tema. Gli dimostra come adattarsi agli altri, come entrare nel loro stato mentale, come presentare loro il proprio, come influenzarli, come giungere a comprendersi con loro, come sopportarli. Egli è a proprio agio in qualunque società, ha un terreno comune con ogni classe; sa quando parlare e quando fare silenzio; sa conversare, sa ascoltare; sa porre una domanda in modo pertinente e, quando non ha niente da insegnare da sè, trarre opportuno profitto da una lezione; è sempre pronto, eppure mai di ostacolo; è di piacevole compagnia, e un collega sul quale potete contare; sa quando essere serio e quando scherzare, e possiede un tatto sicuro che lo rende capace di scherzare con grazia e di essere serio con efficacia. Ha la tranquillità di una mente che vive in se stessa, mentre vive nel mondo, e che ha in se stessa le risorse per la proprio felicità quando non può uscire da se stessa. Possiede un dono che gli serve in pubblico, e lo sostiene nella solitudine, senza il quale la buona sorte non è che volgare, e con il quale il fallimento e il disappunto hanno un loro fascino. L'arte che tende a fare di un uomo tutto ciò, nel fine che essa persegue è tanto utile quanto l'arte della ricchezza o l'arte della salute. (Newmann)


Il muro dei ricordi

Non la posso dimenticare quella sensazione non appena oltrepassato quel muro. Il pullman avanzava rallentando sempre più. Già da un po' avevo intravisto questa enorme e altissima distesa di cemento che si innalzava verso il cielo. Ma oltrepassarlo. Quella sensazione non si può dimenticare. Non si può dimenticare il senso di angoscia. La voglia di tornare 'al di là', di tornare a respirare. Perchè dentro quel recinto ti senti in prigione, sei in prigione. E' vero, vedi il cielo, ma non basta a toglierti quel senso di claustrofobia che ti pervade. Sei dentro. Stop. E la meraviglia che mi colse quando, dopo lo sconforto più totale, sentii in lontananza e per tutta la notte, la musica invadere tutte le piccole vie, e giungere fino alla mia finestra. Io volevo solo scappare, e sapevo che potevo. Loro, i prigionieri veri, avevano ancora la forza di festeggiare, di ballare, per non farsi risucchiare in quel vortice di rassegnazione che stava colpendo me. Da lì, la Palestina mi catturò, e devo dire che parte del mio cuore le appartiene, e aspetta con ansia di rincontrarla.